Il calciatore che viene dal futuro

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Fra le varie cose interessanti che (come al solito) dice Buffa in questa intervista ce ne sono un paio notevoli per il loro essere collegate (7:20). La prima è una cosa triste: è quando ci ricorda che fino a qualche mese fa in serie A giocava ancora un certo Pato, che era uno che sapeva giocare bene e che guardavamo tutti come si fa con i prodigi del calcio mondiale. La seconda è una cosa sinistra: è quando tira fuori la profezia di un certo guru del lodigiano (?) che ha a che fare col fatto che l’evoluzione fisica di El Shaarawy gli ricorda quella di Pato e che, nello specifico, potrebbe persino fare la sua stessa fine. Cioè ingrossarsi enormemente nel giro di pochi mesi e iniziare a soffrire di infortuni muscolari ogni tre giorni.

L’avvocato, che di solito ci vede benissimo, ci auguriamo che questa volta abbia ricevuto la soffiata sbagliata dal suo amico guru; ma intanto, il faraone, ora come ora è al rientro da una serie di problemi fisici che in questa stagione non gli hanno fatto vedere il campo quasi mai.

Se ElSha, appena prima di rientrare contro l’Ajax, non aveva preso bene l’ennesimo stop, dovuto a una microfrattura al piede:

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Sono piuttosto i vari infortuni muscolari a suonare sinistri, soprattutto a causa della sua somiglianza con quelli che subiva Pato una volta a settimana e, quindi, per il loro essere tristemente in accordo con la distopia buffiana.

Il 14 settembre ElSha si infortuna in allenamento, in maniera stupida, persino ridicola: “Si è fatto male con un movimento banale a fine allenamento, quando i calciatori fanno quei movimenti da circo come le foche”. In fondo David James si strappò la schiena allungandosi a prendere il telecomando e Canizares saltò i mondiali del 2002 sfasciandosi il tendine d’achille con un flacone di dopobarba fatto cadere sul pavimento del cesso. Quello che preoccupa è che l’infortunio è muscolare, del tipo di quelli che aveva l’altro, Pato.

Che fine ha fatto Pato? A cosa si riferiva l’avvocato quando diceva “cross, dimenticatelo”?

Pato è tornato a giocare in Brasile, col Corinthians e, anche se il suo club non sembra spassarsela (la tifoseria li ha etichettati come “imbecilli” dopo un brutto avvio di campionato), sta bene, gioca, segna ed è tornato titolare in nazionale. Una serie di circostanze che l’hanno portato a farsi due domande riguardo al fatto che in Italia aveva una condizione fisica da malato di sifilide. Così un po’ di tempo fa si è lasciato andare a un paio di constatazioni piuttosto pacifiche:  “Anche quest’anno al Milan ci sono molti infortunati dimostrazione che i guai muscolari non erano colpa mia. Io giocavo una partita, mi facevo male, recuperavo e mi infortunavo di nuovo. La colpa è dei medici e dei carichi di lavoro eccessivi per farmi tornare prima in campo”. “Per gli infortuni ho pagato e sto pagando un prezzo che non dipendeva da me. Tutti possono vedere la differenza di quando stavo in Italia ad ora che sono tornato in Brasile”. “In Italia il trattamento è diverso da qui. Si lavora molto sul fisico. Si fa piscina, fisioterapia: si finisce a fare il lavoro di venti giorni in una sola settimana – conclude -, è normale che il fisico possa non reggere”.

Il misterioso laboratorio alchemico di Milanello

A Milanello esiste una cosa che si chiama Milan Lab, fondato nel 2002 da un misterioso chiropratico belga di nome Jean Pierre Meersseman, si propone di essere un avveniristico centro di cura fisica dell’atleta sotto diversi aspetti. Dalla cura degli infortuni alla raccolta di dati che faciliterebbero i preparatori nello stilare programmi di allenamento personali e dedicati. È quindi, indirettamente, Milan Lab che Pato mette sotto accusa dal Brasile.

D’altronde la cifra degli infortuni del Milan negli ultimi anni assume dei contorni imbarazzanti, con una media, nelle ultime tre stagioni, di 70 infortuni all’anno, più del 50% dei quali di origine muscolare. Un cataclisma che nel corso delle stagioni recenti ha contribuito forse ad accorciare la carriera di molti campioni. Il pensiero va soprattutto all’eterno mal di schiena di cui soffriva Sandro Nesta (un vero swarovski della difesa), alla pubalgia incurabile di Ronaldo e dell’ultimo Kakà pre-madrid, che d’altronde fu tra i primi a lanciare frecciatine al laboratorio rossonero: “Sono migliorato di più una settimana in nazionale che in cinque con il Milan”: sempre colpa della saudade?

Eppure c’era un tempo in cui le cose sembravano andare nel senso esattamente opposto, tempi in cui la squadra del Milan aveva una media età ridicolmente alta ma si poteva permettere di perdere una finale di Champions ai calci di rigore per poi vincerne un’altra appena due anni dopo mantenendo la stessa ossatura. La squadra di quegli anni era zeppa di campioni molto in là con l’età, per lo più a fine carriera e con molte stagioni faticose e vincenti alle spalle. Gente come Cafu, Maldini, Crespo, Seedorf, Costacurta, Serginho, Peppe Favalli non si infortunava mai e il merito sembrava essere dei prodigi alchemici che si consumavano dentro Milan Lab.

Articoli come questo arrivavano ad attribuire al laboratorio di Milanello il merito della prolungata carriera di Paolo Maldini; Meersseman sosteneva nel 2008, in un’intervista al Financial Times, come gli infortuni del Milan si fossero ridotti del 90% grazie alla sua creazione.

A dieci anni di distanza, Adriano Galliani ha invece dichiarato che “il problema del Milan sono gli infortuni. Viaggiamo alla media di un infortunio muscolare a partita”. Di questa lunga serie di infortuni Pato rappresenta senz’altro il caso-monstre, con i suoi 400 giorni di assenza in due stagioni e mezzo. In che modo dobbiamo leggere questa cifra imbarazzante?

La mutazione del papero

Mi è capitato di vedere giocare Pato al Corinthians e non mi ha fatto una grande impressione. Sembra un giocatore in generale involuzione, o comunque non sembra più essere lui. Fisicamente intendo: Pato sembra un’altra persona. Basti vedere una foto del ragazzino riccio e minuto appena arrivato a Milanello e il colosso bombastico che è diventato nel 2012.

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E’ come vedere il percorso di Del Piero, al contrario.

Sono in molti ad aver sostenuto una tesi piuttosto ovvia: cioè che la causa dei ripetuti infortuni di Pato risiedesse nella crescita muscolare incontrollata, sette kg di massa aggiunti in tre anni e mezzo. Se la massa cresce senza un corrispettivo aumento dell’elasticità muscolare il rischio infortuni aumenta esponenzialmente.

Il cambio di struttura fisica ha determinato per Pato anche un cambiamento di abilità e stile di gioco in generale. Arrivato in Italia come seconda punta di movimento di incredibile agilità, soprattutto nei primi metri, Pato ha accentrato progressivamente la propria posizione, diventando via via più statico e potente, ma perdendo la pericolosità nell’allungo breve e nello stretto. A mio avviso Pato è diventato, nel corso degli anni, un giocatore meno efficace e di gran lunga più leggibile per le difese avversarie.

Guardando questo video che raccoglie tutti i gol di Pato in rossonero la cosa si capisce piuttosto bene:

I gol del primo anno sono dei veri prodigi di agilità, in particolare un gol al Franchi allo scadere nel quale stoppa una palla alta, si gira in un fazzoletto tra tre uomini e segna con un diagonale sul secondo palo. Con lo scorrere dello stagioni Pato realizza marcature sempre più statiche.

Come si sostiene qui su Panorama, negli ultimi mesi al Corinthians, Pato ha asciugato po’ di quella massa muscolare acquisita al Milan, diminuendo di molto la quantità di infortuni sofferti. Un po’ lo stesso percorso seguito da Nadal dopo il 2010, l’annus horribilis dei suoi infortuni a catena; a partire dal quale ha dovuto perdere un bel po’ di massa per supportare meglio le proprie articolazioni muscolari.

È come se i medici del Milan avessero tentato di trasformare Pato in un giocatore diverso, producendo però uno sviluppo disarmonico del suo fisico. Eppure, come molte innovazioni contemporanee, Milan Lab fonda la propria forza sull’immagazzinamento di dati riguardanti gli aspetti fisici di ogni singolo atleta: “Ognuno ha e vive una storia esclusivamente personale: il punto di forza di MilanLab risiede pertanto nell’individuazione di questa unicità.” E allora perché si è voluto forzare in quel modo lo sviluppo fisico di Pato? Perché volerne fare un giocatore diverso (e secondo me peggiore) mettendone a rischio l’integrità fisica? L’idea che mi sono fatto – e da cui prende le mosse questo articolo – è che nel caso Pato si possa leggere l’apice del successo di una certa ideologia. Un’ideologia dominante negli ultimi vent’anni e che associa l’idea di calciatore moderno a una precisa conformazione fisica.

Leggere l’evoluzione del calciatore tramite gli spot Nike

Forse all’origine di tutto c’è la Nike, come il più classico dei complotti giudaico-massonici. O forse Nike iniziò semplicemente a cogliere una tendenza che poi diventerà la sua cifra comunicativa, il suo valore profondo: lo sport inteso come iper-agonismo, e il calcio in particolare come disciplina praticata da superuomini cibernetici intenti a sfidare le leggi della fisica attraverso acrobazie e gesti tecnici al limite dell’utopico. Tutto ciò che potrebbe rispondere alla domanda: “è possibile vedere holly e benji nella realtà?” inizia da questo spot

del 1996, interpretato da gente all’epoca piuttosto venerata come Rui Costa, Kluivert e persino Brolin. Vi immaginate Brolin scendere all’inferno per salvare il calcio da una banda di terribili demoni?

Negli ultimi vent’anni i calciatori hanno iniziato a somigliare sempre più a quelli immaginati dalla Nike nei suoi spot: capacità fisico-aerobiche spaventose, resistenza illimitata, altezza imponente, velocità mostruosa. Se Brolin – o ancor di più il lento Rui Costa – potevano apparire piuttosto goffi nel compiere mezze rovesciate a sette metri d’altezza, qualche anno dopo le cose vanno meglio.

Significativamente, Cantona è passato a uno stiloso arbitraggio, sostituito da Henry e Ronaldo, che sono quanto di più si avvicina al concetto di Attaccante Moderno; Totti, con la sua forza fisica, è la negazione stessa del trequartista lento e cerebrale. Vieira, Davids e Roberto Carlos sono dei casi limite di atleti di Pentathlon prestati al calcio.

Passati al “Next Level” le cose iniziano a combaciare praticamente del tutto: siamo nel 2012 e lo scenario futuristico immaginato da Nike nel 1996 è diventato qualcosa di concreto, reale. Tanto che non è più necessario immaginare un salto nel futuro, ma è possibile ambientare il tutto in uno scenario ben leggibile e a noi contemporaneo.

I giocatori – colossi dalla struttura fisica irreale – non si fermano mai e compiono una serie di gesti  difficilmente comprensibili a una velocità vertiginosa. A un certo punto Hernandez  si trova una palla a mezza altezza e la calcia con violenza siderale (perché?!), a bloccarne la traiettoria interviene Lebron James, che sì, è il più grosso di tutti, ma non è così più grosso degli altri. I calciatori, accanto a lui, non sfigurano.

Guardare in successione questi spot della Nike può essere interessante per leggere il complessivo sviluppo che la figura del calciatore – e soprattutto del suo aspetto fisico – ha subito negli anni. Seppure esistono dei meravigliosi esempi di calciatori quasi normo-dotati fisicamente, l’impressione è che per giocare a calcio ad alti livelli non puoi permetterti di essere alto meno di un metro e ottanta, a meno che non ti chiami Messi e segni 57 gol in una stagione.

Cristiano Ronaldo rappresenta più di chiunque altro questa ideologia del super-calciatore, abbinando grandi doti tecniche a delle doti fisiche praticamente sconfinate. Cristiano arriva a correre a 33 km/h palla al piede, mentre senza palla saetta come un centometrista

Non è un caso che il portoghese, con 17 milioni di euro a stagione, sia il giocatore più pagato al mondo. Non è un caso che invece il costo più alto per il cartellino di un calciatore si sia dovuto sborsare per Gareth Bale, uno che a diciotto anni correva i 100 metri in circa undici secondi (per capirci: Bolt li corre in 9 e 50 circa).

La conseguenza sul gioco di tutto questo è naturalmente quell’imperialismo della intensità che vediamo ora sui campi da calcio e che ha confinato i giocatori lenti, tipo Riquelme, a svernare precocemente in campionati minori, come spiega molto bene Daniele Manusia in questo pezzo su L’Ultimo Uomo, nel quale si analizzano diversi effetti che il concetto di intensità ha prodotto sul gioco.

Inversioni di tendenza

Ma Bale, Ibra, Ronaldo – con le loro doti fisiche fuori dal comune – non sono che un modello di calciatore che però, negli ultimi anni, è stato affiancato da una serie di campioni dal fisico meno somigliante a quello di robocop.

È proprio il Barcellona ad aver, dal 2009, mostrato al mondo una direzione diversa, un modo differente di intendere la conformazione fisica del calciatore. In un senso che non fa decadere l’intensità (anzi, la amplifica) ma la sposta su un piano più neuronale, se si può dire, che fisico.

I giocatori del Barcellona hanno iniziato a sviluppare un’intensità basata sul fatto che pensano prima, si muovono meglio, toccano la palla in modo più preciso degli altri. È un’intensità apparentemente più immateriale, che possiamo leggere ora anche nelle ripartenze armoniose del Borussia Dormund, ad esempio (seppure i gialli corrono in genere sempre più degli avversari). Però, a un certo punto dello sviluppo calcistico, si è creduto che bastava essere più grossi e veloci degli avversari per vincere. Spostandoci in Italia, e a qualche anno fa, possiamo leggere la sfida tra l’Inter di Mancini e la Roma di Spalletti come lo scontro tra i due paradigmi. Quell’Inter sembrava praticare una declinazione particolare del gioco del calcio per cui vincere passava per la demolizione fisica degli avversari.

Il numero di gol su palla inattiva, che nel calcio moderno è cresciuto notevolmente, in quell’Inter raggiungeva una quota imbarazzante: un calcio d’angolo finiva per somigliare a un calcio di rigore.

La crescita muscolare di Pato sembra essere stata suggerita dall’ideologia che abbiamo appena ricostruito: l’idea che lo sviluppo del calciatore non debba armonizzarsi con le proprie doti fisiche, ma debba invece conformarsi ad ogni costo a uno standard di potenza e velocità. Al contrario di quelli che sarebbero i principi stessi di Milan Lab, Pato non è stato trattato nella sua unicità.

Un altro caso Pato?

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Ora,  possibile che il Milan abbia ripetuto la stessa operazione per El Shaarawy? In effetti, arrivato da poco, il faraone fu spedito immediatamente in palestra, tanto che quando il suo mancato inserimento in squadra iniziava a far discutere, intervenne un preparatore del Milan a chiarire “El Shaarawy sta svolgendo la preparazione col Milan; i preparatori stanno cercando di farlo crescere fisicamente aggiungendo un po’ di massa muscolare in più. Questo è il motivo per il quale non ha ancora preso parte a match ufficiali”.

Alcuni hanno attribuito proprio alla sua crescita fisica, l’esplosione di rendimento verificatasi nel girone d’andata nello scorso anno, con 14 gol in 19 gare: una roba da strabuzzare gli occhi. Poi, una volta arrivato Balotelli, il faraone pare eclissarsi. A mio avviso non esiste né un problema tattico né di personalità, d’altronde nelle poche occasione nelle quali i due riescono a giocare assieme El Sha perde qualcosa in termini di realizzazioni, ma ne guadagna in assist, e a riscuotere è soprattutto Balotelli, non più costretto a predicare nel deserto. Cosa sottolineato dallo stesso El Shaarawy. Il punto è proprio che riescono a giocare assieme sempre più raramente. El Shaarawy quest’anno si è presentato in campo due volte in tre mesi di campionato.

Il misterioso guru del lodigiano, più che profetizzare e portare un po’ sfiga, si è limitato a leggere il solco degli eventi per tracciarne le linee. Mentre sul panorama del calcio mondiale si affaccia una nuova generazione di fenomeni pesi-piuma – Reus, Goetze, Lucas, Isco, Insigne – che, se non scalzano il modello dominante, per lo meno ne sfumano la rigidità, il Milan sembra ancora rincorrere l’ideale del calciatore come macchina da guerra come l’unico possibile.

Emanuele Atturo Semiologo scarso, fantasista discreto, ha giocato una vita a Tennis per potersi raccontare di un talento calcistico inespresso. Vive e studia a Bologna, dove si fa venire i crampi scrivendo enigmi per Atlas Magazine @Perelaa

2 risposte a “Il calciatore che viene dal futuro

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